Curiosità
IL MOTTO ACCADEMICONel corso del ‘600 alle tante Accademie che stavano nascendo vennero imposti alcuni obblighi, tra cui avere una specifica denominazione, dotarsi di un proprio motto e scegliere un Santo protettore. Così, nella storia del Grande, l’Accademia degli Erranti decise di avvalersi della divina protezione di Santa Caterina da Siena e di adottare come propria l’immagine della luna falcata sormontata dal motto Non Errat Errando. Tale “slogan” assunse un maggiore e più completo significato quando venne ripreso nel sovraporta d’accesso della sede dell’Accademia.
“Hic reparatis Hephesi ruinis / Cynthia comitata musis vallata Amazonibus / non errat errando. /
Haec si cupis intueri quis quis es / uno dempto Herostrato / ascende viator.”
Il testo è scritto in un intenzionale latino enfatico e, tramite il riferimento al mito greco di Cinzia (in latino Diana, Dea identificata con la Luna), ci restituisce i principi fondamentali dell’Accademica. Qualcuno sostiene che il riferimento al mito di Diana derivi dal fatto che nella zona del convento di S. Faustino, prima sede dell’Accademia, vi fosse in epoca romana un tempio dedicato alla dea Diana. Quindi, così come Cinzia scappò dalle rovine incendiate del tempio di Efeso e, accompagnata dalle Amazzoni, trovò un rifugio dove poter ricominciare la propria attività, anche gli Accademici si allontanarono dalla loro prima residenza, per stabilire la sede definitiva dell’Accademia in questo nuovo posto. Questo vagare, interpretabile in modo estensivo anche nella libera accezione di “errare, sbagliare”, non è da considerarsi sbagliato in quanto è un modo per ricominciare e serve comunque a rafforzare il bagaglio di esperienza ed a proseguire le attività nel migliore dei modi. Così, chiunque sia interessato a saperne di più, tranne chi nega l’importanza delle arti e dell’intelligenza, come aveva fatto Erostrato incendiando il tempio di Diana, è invitato a “salire”, indicando con tale espressione sia l’accezione letterale del verbo (salire le scale della sede accademica), sia l’accezione metaforica che indica la possibilità, per chi frequenta l’Accademia, di accrescere le proprie conoscenze, di progredire culturalmente e di innalzarsi ai saperi delle arti.

All’inizio dell’Ottocento il Ridotto e le sale ad esso attigue venivano spesso utilizzate come luogo di intrattenimento e di svago: vi si svolgevano giochi d’azzardo spesso riservati personalmente agli alti ufficiali francesi della Grande Armée, allora presenti sulla piazza di Brescia a seguito della Campagna d’Italia. Curiosa è la consultazione del Regolamento Per l’Esercizio de’ Giuochi d’Azzardo nel Ridotto di Brescia appositamente redatto nel 1810 per stabilire le norme comportamentali da rispettare durante le serate di gioco nel Ridotto del Teatro. Il Regolamento è oggi conservato nell’archivio del Grande.
Giacomo Puccini scelse il soggetto della sua sesta opera dopo aver assistito a Londra, nel luglio 1900, all’omonima tragedia in un atto di David Belasco, apparso nel 1898. La sera del 17 febbraio 1904, nonostante l’attesa e la grande fiducia dei suoi artefici, Madama Butterfly cadde clamorosamente al Teatro alla Scala di Milano. Il fiasco spinse autore ed editore a ritirare immediatamente lo spartito, per sottoporre l’opera ad un’accurata revisione che la rese più agile e proporzionata. Nella nuova versione, Madama Butterfly venne accolta entusiasticamente al Teatro Grande di Brescia appena tre mesi dopo, il 28 maggio 1904, spettacolo al quale presenziò anche il Re Vittorio Emanuele III. Da quel giorno Madame Butterfly iniziò la sua seconda, fortunata esistenza.
Recitano le cronache bresciane dell’epoca: “…Puccini ha avuto ieri serva causa vinta, trionfalmente vinta. Sette bis, venticinque chiamate…il Teatro era straordinariamente gremito … i palchi erano affollatissimi… uno scintillio incantevole di bellezze, di diamanti, di trine… poche volte ci si è trovati di fronte ad un successo così immediato… giustificato dall’intrinseco valore dell’opera nella sua parte principale;… ma anche dalla sua esecuzione che non poteva essere migliore…”.
E così Puccini ringrazia in una lettera alla Deputazione: “Già due volte Brescia, la colta e gentile, mi ha fatto accoglienze che saranno per me incancellabili. Con animo commosso vorrei pur far sapere al pubblico i miei sentimenti e ringraziare di tutto cuore l’amico Mascheroni, gli interpreti valorosi e zelanti della Manon, e tutti infine coloro che vollero gentilmente darmi un ricordo carissimo e prezioso per me. Ma non mi sento di tanto capace, e quindi rivolgendomi a codesta onorevole Deputazione del Teatro Grande sono certo di trovare in essa una eloquente interprete della mia vivissima gratitudine, che pure ad essa tributo.

L'assetto decorativo della sala napoleonica caratterizzò il Teatro Grande per tutta la prima metà dell'Ottocento, destando l'ammirazione di Stendhal che in una nota del suo "Vita di Rossini" scrive:
M. Canonica, architecte renommé, qui a construit plusieurs théâtres en Lombardie, disait un jour en ma présence que les lois de l'acoustique sont encore peu connues...
Si vous voulez une salle plus grande, copiez le charmant théâtre de Brescia; rien n'est plus joli. (Le joli d'Italie est le magnifique en France; le beau d'Italie semble lugubre aux Français.)
....
Ancora nel 1857 Giuseppe Zanardelli apprezzava "lo splendore e la bellezza delle decorazioni nei davanzali dei palchetti", "il felice congiungimento della sala con il palcoscenico e i venusti ornamenti del proscenio; la leggerezza ed attica eleganza del velario".